FAQ

ICTUS cosa è?

L’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) definisce l’ictus come “una improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit delle funzioni cerebrali, localizzati o globali di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto non attribuibile ad altra causa apparente se non vasculopatia cerebrale”. Il termine Ictus deriva dal latino “colpo” ( Stroke in inglese) poiché i disturbi esordiscono in maniera improvvisa.

L’Ictus o Stroke può essere Ischemico quando un vaso cerebrale viene ostruito da una placca aterosclerotica o da un coagulo di sangue che proviene dal cuore o da qualche altro distretto vascolare oppure Emorragico quando un’arteria del cervello si rompe e provoca la presenza di sangue dentro il cervello. In una piccola percentuale di pazienti il vaso si può rompere tra il cervello e lo spazio subaracnoideo ( l’aracnoide è una delle membrane protettive del cervello) e si ha allora l’ Emorragia subaracnoidea.

La Patologia cerebrovascolare rappresenta la I° causa di disabilità e la III° causa di morte nei paesi sviluppati. In Italia si verificano circa 150.000 casi di ictus all’anno e circa 800.000 sono le persone che ne portano le conseguenze, se ne deduce che tale patologia non comporta solo un problema sanitario, ma anche sociale e riabilitativo di enormi dimensioni.

Gli Ictus Ischemici rappresentano l’85% di tutte le forme , in questi ultimi 20 le cure sono diventate più specifiche ed efficaci, ma per poterle utilizzare è indispensabile che venga rapidamente sospettata/ riconosciuta tale patologia e che il paziente venga trasportato nel più breve tempo possibile in un Ospedale adeguatamente attrezzato per poter gestire la complessità di tale patologia nella maniera più completa ed in tempi rapidi.

TIA cosa è?

L’attacco ischemico transitorio (TIA) è una condizione clinica secondaria ad una alterazione dell’afflusso di sangue nei vasi che nutrono l’encefalo.
Tale condizione si caratterizza clinicamente per l’improvvisa e transitoria comparsa di disturbi focali neurologici che possono essere molto variabili: alterazioni della capacità visiva (visione doppia o annebbiata, mancata visione di una parte del campo visivo), del linguaggio (difficoltà a scandire le parole o ad emettere le parole, sostituzione delle parole con altre), di forza (incapacità a muovere uno o più arti o riduzione della forza negli stessi), sensibilità (impossibilità o riduzione della capacità di sentire gli stimoli in uno o più arti o sensazione di formicolii/punture negli stessi) o coordinazione (difficoltà ad indirizzare correttamente il movimento di uno o più arti), fino alla alterazione della capacità di stare in posizione eretta (tendenza a sbandare in piedi o durante la marcia) e/o alterazione dello stato di coscienza (sonnolenza, impossibilità al risveglio).

La transitorietà di queste manifestazioni, tipicamente variabile da pochi minuti a 24 ore, non deve indurre a sottovalutare tali disturbi in quanto rappresentano un importante campanello d’allarme. Infatti il rischio che a tali episodi segua un evento ischemico cerebrale (ictus ischemico) è molto elevato, raggiungendo, nelle varie casistiche, valori compresi tra il 10% ed il 30%. Tale rischio risulta più elevato nelle prime 24-48 ore dopo il TIA, permanendo moderatamente elevato nei successivi 3 mesi.

Negli ultimi anni molta attenzione è stata posta al concetto di TIA, sia in termini di revisione della definizione, sia in termini di miglioramento delle strategie diagnostico-terapeutiche. In particolare, l’ottimizzazione degli strumenti di stratificazione del rischio permette oggi il pronto riconoscimento dei pazienti da avviare con urgenza all’esecuzione di test diagnostici mirati e di approntare la terapia di prevenzione più appropriata per quel paziente.
Appare quindi evidente come il pronto riconoscimento dei sintomi ricopra un ruolo cruciale per mettere in atto nel più breve tempo possibile le più adeguate strategie diagnostico-terapeutiche che scongiurino l’evoluzione verso l’ischemia cerebrale conclamata responsabile, come è noto, di elevata disabilità e notevoli costi sociali, oltre che gravata da moderati tassi di mortalità a breve-medio termine.

Uno dei principali limiti alla realizzazione di tale strategia di prevenzione è rappresentato proprio dalla scarsa informazione della popolazione relativamente ai sintomi di ischemia cerebrale e dalla mancata consapevolezza del rischio che i disturbi transitori possono comportare.

ESA cosa è?

L’emorragia subaracnoidea (ESA) é una temibile condizione clinica caratterizzata dallo spandimento di sangue negli spazi piú profondi dei foglietti meningei (tra aracnoide e pia madre) che rivestono il sistema nervoso centrale. E’ una condizione gravata da altissima mortalitá (circa 40%) sin dalle prime ore dopo l’insorgenza e da una elevata percentuale di disabilitá residua (circa il 50% dei pazienti rimane dipendente nelle attivitá del quotidiano).

Una delle cause principali dell’ESA é la rottura di un aneurisma cerebrale (80% dei casi), altre cause possono essere traumi cranici (in cui l’ESA spesso si associa ad altri tipi di emorragia intra o extracranica). In una percentuale minore di casi non viene identificata una causa sottostante (ESA sine materia). Altre patologie neurologiche (quali ad esempio vasculiti, angiopatia amiloide cerebrale, sindrome da vasospasmo reversibile) possono essere associate alla presenza di ESA di limitate dimensioni, spesso asintomatica o paucisintomatica.

Clinicamente l’ESA si manifesta con improvvisa cefalea di elevatissima intensitá a distribuzione variabile, associata a nausea, vomito e fotofobia. Possono associarsi sintomi e segni focali neurologici (disturbi della vista, della sensibilita, del movimento o della vigilanza fino al coma), rigiditá nucale e crisi epilettiche. Talora la rottura é preannunciata da una cefalea piú lieve nei giorni antecedenti l’evento. Possono associarsi alterazioni della funzione cardiaca con evoluzione in scompenso cardiaco ed edema polmonare.

I pazienti che sopravvivono alle prime ore, che risultano le piú critiche, possono inoltre andare in contro a complicanze precoci o tardive.

 Tra le piú temibili complicanze precoci vi é la possibilitá di un ulteriore sanguinamento dell’aneurisma (dal 15 al 40%) che determina un’aumento della mortalitá fino all’80%. Il trattamento precoce di chiusura dell’aneurisma riduce drasticamente il rischio di risanguinamento, quindi la mortalitá, e migliora l’esito funzionale dei pazienti. 

Altra frequente  complicanza che puó presentarsi sia nelle fasi precoci che tardive é lo sviluppo di idrocefalo (dilatazione dei ventricoli cerebrali da ostruzione del deflusso del liquor cefalorachidiano secondario al sanguinamento) che puó talora essere asintomatico o piú spesso manifestarsi con deterioramento della vigilanza e/o alterazione dei movimenti oculari. Il trattamento dell’idrocefalo prevede l’introduzione, generalmente temporanea, di un drenaggio ventricolare esterno che verrá rimosso una volta ristabilita la normale circolazione liquorale.

Tra le complicanze tardive particolarmente insidioso risulta essere il vasospasmo (restringimento di una arteria cerebrale per effetto irritativo secondario al sanguinamento) che porta ad insufficiente afflusso di sangue nella regione irrorata dall’arteria colpita, determinando un’ischemia cerebrale tardiva che va ad aggiungersi al danno causato dall’emorragia. Il vasospasmo insorge nei giorni successivi al sanguinamento ed in maniera subdola. I pazienti possono lamentare un aggravamento della cefalea, ma spesso le manifestazioni cliniche si realizzano quando il danno ischemico é giá instaurato ed irreversibile. Per ovviare a questa complicanza i pazienti vengono moritorati in maniera non invasiva tramite l’utilizzo di ultrasuoni per seguire l’andamento delle variazioni di flusso sulle principali arterie intracraniche. Questo semplice monitoraggio permette di rilevare il vasospasmo in fase asintomatica e di trattarlo tempestivamente.

Il trattamento dell’ESA prevede la stabilizzazione delle condizioni del paziente, la chiusura precoce dell’aneurisma responsabile del sanguinamento, la gestione del dolore e delle eventuali crisi epilettiche associate, la prevenzione delle complicanze descritte tramite supporto volemico e farmacologico. Una volta escluso l’aneurisma, il mantenimento di un’adeguata pressione arteriosa é necessario per assicurare un ottimale perfusione cerebrale, mentre, al contempo la somministrazione di farmaci vasodilatatori viene impiegata per la prevenzione del vasospasmo. Il paziente rimarrá monitorato clinicamente e strumentalmente per diversi giorni fino alla stabilizzazione dei parametri emodinamici e neuroradiologici.

Aneurisma Cerebrale cosa è?

Col termine aneurisma si identifica la dilatazione della parete di un vaso, arterioso o venoso. Quando si parla di aneurisma cerebrale generalmente si fa rifermento alla dilatazione di un vaso arterioso che irrora il tessuto cerebrale, secondaria alla alterazione della struttura della parete dello stesso.  A causa della perdita degli strati intermedi della parete dell’arteria infatti quest’ultima perde la sua naturale resistenza alla pressione del flusso sanguigno, consentendo allo strato piú interno della parete del vaso di estroflettersi verso l’esterno sotto la spinta del flusso. La parete dell’aneurisma, quindi, risulta costituita unicamente dallo strato interno e dallo strato piú esterno, e risulta priva della parete muscolare dello strato intermedio. Questo rende conto della fragilitá potenziale di queste formazioni, la rottura delle quali provoca una temibile condizione clinica che va sotto il nome di emorragia subaracnoidea.

La patologia aneurismatica coinvolge circa il 2-5% della popolazione generale e risulta piú frequente nel genere femminile; la frequenza aumenta anche in relazione alla familiaritá. Nella maggior parte dei casi l’aneurisma é isolato e localizzato alla biforcazione dei vasi, con maggiore frequenza nel circolo anteriore. In un 30% dei casi coesistono aneurismi multipli nello stesso soggetto.

Tra i fattori di rischio modificabili per lo sviluppo della patologia aneurismatica si riconoscono l’ipertensione arteriosa, il fumo di sigaretta, l’aterosclerosi. Anche l’abuso di alcool e cocaina é associato ad una maggiore probabilitá di sviluppare di tali formazioni. Tra i fattori di rischio non modificabili, oltre al genere femminile ed alla familiaritá, vi sono alcune patologie tra cui ricordiamo la policistosi renale, la displasia fibromuscolare ed altre patologie del collagene e/o patologie geneticamente determinate.

Esistono aneurismi congeniti o acquisiti, questi ultimi distinti in realzione all’eziologia in: traumatici, infiammatori, infettivi, neoplastici e secondari ad esposizione a radiazioni ionizzanti.

In base alla forma si possono distinguere aneurismi:

  • sacculari, costitutiti da una colletto, porzione piú o meno ristretta che lo mette in comunicazione col vaso da cui origina, e dalla sacca ove si raccoglie il sangue
  • fusiformi, privi di colletto, ad estensione longitudinale
  • dissecanti, generati da una preesistente alterazione della parete vasale (dissezione), in cui il sangue si raccoglie in un falso lume tra lo stato interno e quello medio del vaso, ancora presente.

Le dimensioni dell’aneurisma possono variare notevolmente da pochi millimetri (<12 mm) a formazioni piú ampie con sacca strutturalmente piú complessa, fino alle forme giganti (>25 mm).

Il rischio di rottura risulta variabile tra i diversi studi e comunque generalmente inferiore al 2%. Tra i fattori che maggiormante sembrano favorire tale rischio si riconoscono la dimensione della sacca, la localizzazione nel circolo posteriore e la storia di pregressa emorragia subaracnoidea.

Il trattamento della patologia aneurismatica puó essere di tipo conservativo, generalmente riservato a pazienti anziani con riscontro occasionale di aneurisma di piccole dimansioni, non rotto e privi di familiaritá. In questi casi vengono corretti i fattori di rischio ed il paziente viene monitorato radiologicamente.

La terapia di chiusura dell’aneurisma avviene in casi selezionati e puó essere effettuata chirurgicamente tramite la chiusura del colletto con clip metalliche (clipping) o tramite il rivestimento della sacca con parete muscolare (wrapping). Il trattamento per via endovascolare prevede classicamente il riemppimento della sacca con spirali metalliche (coiling). Piú recentemente si sono aggiunti ai trattamenti per via endovascolare particolari devices che non prevedono l’utilizzo di spirali ma, sfruttando l’emodinamica, permettono la chiusura della sacca tramite modifiche della direzione del flusso nel vaso di origine (stent a diversione di flusso). Altri device di piú recente introduzione, attualmente riservati alle procedure di urgenza in caso di aneurisma rotto, vengono posti all’interno della sacca escludendo cosí l’aneurisma dal flusso (flow-disruption).

La selezione dei pazienti da trattare e del tipo di trattamento, sia in elezione che in urgenza, é basata sulle attuali linee guida e viene condivisa tra gli specialisti coinvolti , Neurochirurghi e Neuroradiologi Interventisti.

Stenosi cosa è?

Per stenosi vascolare si intende il restringimento focale di un vaso che puó condurre, se non trattato in tempo, alla occlusione dello stesso. La patologia steno-occlusiva delle arterie cerebroafferenti puó essere distinta in base alla localizzazione in extracranica o intracranica. La stenosi puó essere del tutto asintomatica e progredire in tempi variabili fino a livelli critici, ovvero dare segno di se attraverso segni neurologici transitori (TIA), talora ripetuti e stereotipati, o vere e proprie ischemie cerebrali irreversibili, per lo piú attraverso fenomeni embolici o di riduzione acuta del flusso cerebrale. In questo caso si parla di stenosi sintomatica, sia che si tratti di disturbi transitori sia di quelli persistenti.

Lo sviluppo della patologia stenotica si realizza generalmente su base aterosclerotica, ovvero tramite un ispessimento della parete del vaso secondaria a fenomeni di accumulo di lipidi ed altre sostanze, sotto l’insulto della spinta del sangue sulla parete stessa. I principali fattori che predispongono a questa alterazione sono appunto l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, il diabete mellito, l’abitudine al fumo. La prevenzione quindi é un punto fondamentale per evitare la formazione di placche aterosclerotiche nei vasi e per limitarne l’accrescimento.

Oltre alla patologia aterosclerotica vi sono altre condizioni che con minore frequenza possono determinare stenosi delle arterie cerebroafferenti, tra le piú frequenti ricordiamo le dissezioni (scollamento degli strati della parete vascolare, spontanea o traumatica), patologie infiammatorie/autoimmuni (vasculiti), patologie di sviluppo della parete del vaso (fibrodisplasia muscolare), collagenopatie o altre forme geneticamente determinate.

L’identificazione di una stenosi vascolare puó avvenire ambulatorialmente nell’ambito di controlli programmati ovvero in urgenza qualora la stenosi diventi improvvisamente sintomatica.

Nel primo caso, il riscontro occasionale di una stenosi asintomatica viene gestito tramite la correzione dei fattori di rischio e l’eventuale inserimento o rafforzamento di terapia farmacologica, programmando controlli Ecocolo Doppler seriati per seguire l’andamento della patologia. Solo se la stenosi risulta di grado elevato (generalmente >70%) si pone indicazione al trattamento chirurgico di endoarteriectomia che, nel paziente asintomatico, va soppesato attentamente affinché il rischio operatorio non superi il beneficio dell’intervento. Per tale ragione andrebbe avviato il paziente in un centro ad alto volume di trattamenti con un rischio operatorio annuo inferiore al 3%. In casi selezionati il trattamento puó avvenire per via endovascolare, fermo restando la necessitá di optare per un centro con basso rischio operatorio.

Se il riscontro di stenosi vascolare avviene in regime di urgenza o comunque in un paziente sintomatico in una regione cerebrale che dipende dal vaso stenotico, dopo avere escluso altri fattori di rischio che possano avere causato il TIA o l’ischemia, l’indicazione al trattamento chirurgico o endovascolare si pone con maggiore evidenza ed urgenza, in quanto il rischio di recidiva in tali pazienti risulta molto elevato nelle prime settimane dall’evento. In questo caso la gestione del paziente viene condivisa in un equipe costituita dal Neurologo, il Neuroradiologo Interventista ed il Chirurgo Vascolare che valutano, attenendosi alle linee guida internazionali ed alle regole della buona pratica clinica, la migliore strategia terapeutica per quel paziente ed il timing dell’eventuale intervento.

In caso di stenosi intracranica, sia essa sintomatica o asintomatica, le linee guida internazionali danno indicazione ad instaurare una terapia farmacologica massimale, non essendo finora stata dimostrata scientificamente la superioritá del trattamento endovascolare di stenting.

In tutti i casi sopradescritti il paziente andrá segito nel tempo con rivalutazione clinica Neurologica e strumentale tramite Ecocolor Doppler dei tronchi sovraortici e Doppler Transcranico per seguire l’andamento della patologia e rivalutare eventuali scelte terapeutiche.